giovedì 2 febbraio 2017

Sono orfana di padre: non c'era il giorno che mi sono laureata, non c'era al mio matrimonio, ho sentito proprio la mancanza, ho percepito l'assenza, il vuoto e questa sensazione che ti manca una cosa così importante te la porti tutta la vita.
Non sono orfana di madre, perchè Lei è con me, è nel mio cuore, so cosa mi direbbe, se mi concentro posso ascoltarla, c'è il vuoto ma il cordone ombelicale che ci unisce lo colma, ti crea vicinanza, è una persona che semplicemente "senti" accanto.
Ero piccola quando ho perso papà e sono abbastanza adulta e consapevole adesso che ho perso la mamma, ma è solo questo?
O è un filo che ci lega così in profondità che resta a tenerci legate, non credo sia l'età, credo piuttosto che sia la differenza affettiva fra un uomo e una donna, fra l'amore di un padre e l'amore di una madre.
Mi manca mio padre e mi macherà sempre, non mi manca mia madre, so che è con me.
Vedere le loro foto insieme mi rattrista ma mi fa piacere, quella sensazione di sottile masochismo che c'è in ognuno di noi.
Del resto voglio attraversarlo il mio dolore, non voglio pensare ad altro, poi verrà anche quel momento e tornerò a sorridere.

mercoledì 1 febbraio 2017

Caro Papà,
non sapevi nuotare ma non so se il mare ti piaceva o meno.
Ho davanti a me uno splendido panorama con il mare increspato, blu scuro, un po’ minaccioso e sono su un’isola. Cos’è l’isola? E’ un punto da dove tutto dipende dal mare, se è buono puoi partire se no sei qui un po’ in prigione, avvolta dai pensieri, dai ricordi, tutto un po’ confuso dentro la testa.
Adesso c’è uno spiraglio di sole, e allora il blu scuro diventa una striscia azzurra intensa, il mare improvvisamente ti minaccia meno, tutto è più invitante e senti che la natura decide i tuoi spostamenti, l’orizzonte di fronte è delineato bene per perderti in una linea infinita, l’unico rumore è un cane che abbaia lontano e il fruscio delle foglie di un albero vicino, rumore di vento, in questa giornata indefinita.
E tu Papà come staresti qui? Ti piacerebbe perderti nella linea dell’orizzonte, o la tua amata campagna avrebbe la meglio?
In fondo come uomo non ti conosco, in qualche modo i pochi ricordi lontani sono quasi svaniti e forse per soffrire meno  ho voluto allontanarti dalla mia memoria.
Vorrei fissare qualcosa di te e ricordo il tuo corpo nel salone con un fazzoletto bianco sotto il mento, un volto abbastanza segnato dal dolore e dalla sofferenza e mia mamma vestita di nero disperata accanto a te.
Come avrei potuto tenerti in vita, cosa avrei potuto fare e non ho fatto per legarti per sempre alla vita, e poi ricordo un pomeriggio che cercavo di scappare dalla tua ira, in cui leggevo disprezzo e gelosia nel tuo volto: un ragazzo che mi ha preso per mano, in fondo non era così terribile!
Le continue telefonate con Rosalba, che non ti piaceva affatto e hanno tagliato un confine nel nostro rapporto speciale, il tuo sguardo ad Acitrezza di rimprovero che mi faceva inumidire gli occhi per la tristezza e la vergogna.
Eppure quando tornavi ti piaceva che io mettessi il disco di Aznavour come benvenuto a casa e  che a tavola usassi il tuo stesso tovagliolo per sancire una nostra intimità.
 Cos’è cambiato?
A un certo punto questo rapporto speciale non c’era più e io non ho capito che allontanandomi da te mi sarei persa l’ultima occasione di vederti ridere, parlare, se solo avessi saputo che di lì a poco non ci saresti più stato non avrei perso neanche un attimo per lasciare indelebile nella mia memoria la tua figura, il tuo affetto, la tua mano.
Le tue dita uguali alle mie, la tua furia violenta contro Angela, non so più neanche se ti amo o no, tanto la lontananza, il non averti vero e non solo l’immagine di quello che mi sono costruita di te, hanno creato un muro dentro il mio stesso cuore.
Se c’è una cosa che ho imparato nella mia vita è sapermi distaccare da tutti. Cambiare pagine, non è così difficile per me, tanto la vita ti riserva più o meno solo questo, allora io lo so fare anche senza che ti sia imposto da altri.
Creare una tale distanza da annullare affetto e ricordi che sono insieme intrecciati e vanno via, si allontanano fino a non esistere più.
Caro Papà.
Chissà quanti consigli non ho avuto da te, chissà quali cose avevi deciso di insegnarmi e non hai potuto fare, chissà cosa avresti voluto che diventassi, la tua aspirazione profonda per la realizzazione di tua figlia, quale era, non lo saprò mai!
E come sono diventata ti piaccio, ti sarebbe piaciuto mio marito? Saresti andato d’accordo con lui? Quante domande hai lasciato sospese andando via, perché ti sei lasciato morire, perché tu che per me sei stato sempre forte e indistruttibile hai lasciato che il cancro ti rodesse dentro la cistifellea, i polmoni, il cervello, perché?
Quanto hai sofferto e cosa ti ha turbato dentro per permettere al cancro di ucciderti, quale rabbia e quale insoddisfazione ti covava e quale prezzo hai pagato per questo: non hai conosciuto i tuoi nipoti, non hai visto me diventare donna, femminista, ribelle, comunista, drogata, perduta, sconfortata, sofferente, sola, senza la tua guida, senza un padre.
Perché io? Perché tutti hanno un padre e io che avevo un padre come te stimato e amato da tutti non ho potuto averlo di più, godermelo insomma!
Caro Papà,
il giorno che mi sono sposata tu non c’eri, quando mi sono laureata non c’eri, per il mio primo congresso non c’eri, ma forse non avrei mai fatto congressi, ma avrei fatto l’avvocato come te e con te, analizzando soluzioni e dibattendo di giurisprudenza, ma forse non saremmo andati d’accordo perché io sono superficiale e so che questo non ti apparteneva.
Caro Papà,
non hai mai visto la mia bella casa e nemmeno questo mare di oggi, adesso grigio scuro, minaccioso, non posso muovermi, piove, l’isola mi trattiene con la sua mutevolezza eppure nella mutevolezza c’è il futuro, che può essere radioso e solare o in tempesta, o tutte e due, com’è la vita.
Ma io sono riuscita a ridere di cuore di nuovo dopo il 26 gennaio 1973, ultima risata di un periodo di sicurezze irremovibili, poi dopo quel giorno ho riso tante altre volte ma con una consapevolezza diversa, sapendo di essere sola, sapendo che quello che credi tuo può non esserlo più, sapendo che questo filo che è la vita è sostanzialmente mutevole  e ti sorprende sempre più di qualsiasi fantasia e non sempre positivamente.
Ciao Papà, le lacrime che anche ora a 45 anni, 11 mesi e 15 giorni mi escono solo pensando a quello che non ho potuto avere, con un sentimento misto di rabbia e nostalgia, mentre una folata di vento alza il mare e l’unica barca che ha osato sfidare il mare ha lo spinnaker in un tentativo di stabilizzare l’imbarcazione e il rumore adesso è la catena dell’ancora della nave che porta l’acqua qui a Salina.
E la palma si dimena, i fiori ingialliti della buganvillea sporcano le terrazze. Si scatena un vento ancora più forte, l’aliscafo fa fatica a ormeggiare, le tende fanno da vela e sembra che l’intero terrazzo voli, tutto a soqquadro intorno a me, tranne i miei sentimenti, i miei ricordi, i miei rimpianti, che sono impietriti dentro di me, per sempre.
Ciao Papà, torno a vivere e a dimenticarti, anche se vorrei ancora perdermi nei tuoi ricordi, sapere quante più cose di te, interrogare la mamma, capire, sognare, parlarti ancora un’ultima volta.
Ciao Papà.
Un altro aliscafo arriva. Gli uccelli volano bassi, la vela è piegata e non ha più lo spinnaker, ma la vela di prua, il fiocco, anzi il Genoa 3, il più piccolo per meglio affrontare il vento, e infatti sta quasi doppiando Lipari.
L’aliscafo cerca di ormeggiare, ma ha il vento che lo sbatte dall’altro lato del molo e fa fatica, il mare si alza ed è sempre più tetro e io aspetto che passi la bufera e che torni il sole, forse non oggi, non domani, ma spero nei prossimi giorni.
La pioggia aumenta sempre più, le tende sono bagnate, forse un po’ fradice, anche la sdraio di tela bianca e blu, che avrei potuto chiudere e mettere dentro casa, ma a volte la pigrizia mi domina e mi fa sembrare grandi e faticosi piccoli gesti, preferendo meditare, pensare, creare, fantasticare, sognare, andare molto lontano da dove sono oggi, dal qui ed ora.
La vela non c’è più, ha doppiato Lipari, a terra è tutto bagnato e sembra una brutta giornata di settembre, presagio di inverno, invece oggi è il 3 agosto e tutta la vacanza deve proprio iniziare, anzi avrebbe dovuto iniziare da oggi, avrei dovuto essere a mare a tuffarmi, a nuotare e a prendere il sole, invece causa maltempo, eccomi ovattata nei ricordi.
Anche la nebbia: una cortina bassa di umidità e pioggia che sale dalla costa di Lipari e mostra solo le cime dell’isola, quasi un paese incantato. E gli isolani tutto l’inverno hanno pratica di questo tempo, chissà quante giornate trascorrono osservando la pioggia e vedendo partire gli aliscafi verso altri lidi, forse più assolati, forse attraversando la tempesta.
Oggi, 4 agosto, il cielo è pieno di cirri bianchi, presagio di pioggia, ma c’è anche un azzurro intenso del mare e del cielo, a tratti il sole.
Ma nessuna barca in giro per il mare, il porto pieno di velisti che non approfittano del vento, perché hanno le barche a vela se poi vanno a motore? 
Il gatto è tutto rannicchiato attorno a se stesso, si fa un po’ calore col suo stesso corpo, contro questa brezza fredda che si fa sentire, sul mio cuscino preferito bianco e azzurro, e la nave ha invertito la rotta, con una virata a 360° gradi torna indietro, perché? Ha dimenticato qualcosa o qualcuno, c’è il mare troppo forte, non so, ma la rotta è di nuovo Salina, ora è veloce perché approfitta dell’onda favorevole, e con qualche manovra oltre che il vocio dei marinai che ormeggiano, ecco che si sta accostando alla banchina.
Il porto è pieno di gente che osserva, aspetta, guarda, vuol capire, è incuriosita, come sempre quando arriva una nave. La nave è l’anello di congiunzione fra gli abitanti delle Eolie, come di tutte le altre isole del mondo, e la terra che c’è oltre il mare, a qualsiasi miglia di distanza.
Il mondo, l’altro, il diverso, viene da questo mezzo, oggi anche i viveri e la cultura: dai giornali ai libri, certo con internet possiamo fare a meno anche di questo, ma l’attesa del quotidiano con la nave del mattino è un rito per chi villeggia nelle isole, almeno per noi cittadini abituati a leggere il quotidiano, a “dover” sapere cosa accade, come fosse il nostro lavoro. Noi dai ritmi frenetici, il giornale lo divoriamo anche in vacanza – specie i primi giorni – leggiamo di fretta, perché abbiamo bisogno dei nostri tempi di adattamento  per fare le cose con ritmi “soft”.
Mi riprometto di gustarmi le vacanze con i tempi eoliani, senza fretta.
Con la voce di Natalie Cole vedo le onde che iniziano a diradare, forse il tempo si aggiusta e potrò andare al mare ed essere spensierata, godermi il vero relax con il mio libro preferito.
E Natalie Cole continua a ritmare la mia scrittura, piacevole, tranquilla, placata.
Ora le note di Natalie Cole sono melodiche e ti sospendono a mezz’aria, sognando una notte di luna mentre balli con queste note con un uomo che ti sente e ti avvolge fra le sue braccia, facendoti sentire una femmina, e allora avvinghiarsi è un sospendersi nel tempo, dove cercarsi con le mani e abbracciarsi è molto più di mille vane promesse, perché è qui ed ora, e qui ed ora se lo senti davvero è per sempre.
La spuma bianca delle onde sotto Lipari fa da contrasto con il blu del mare e con la brulla terra, la cava di pomice si staglia contro il mare ed ora che è illuminata dal sole è veramente ridente, e allora ti senti riconciliare con il mondo e senti che la forte nostalgia e i forti rimpianti dei giorni passati si stanno allentando, aprendo il tuo cuore e la tua mente ad assorbire questa luce e questi forti colori.
Natalie Cole ha ripreso il suo ritmo e non si riesce a star fermi, ma anche le dite sulla tastiera seguono un movimento cadenzato che accompagna la musica…svaniscono i ricordi, i momenti tristi  e torna l’allegria.